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A quando il Nobel per l’economia all’Europa?

“L’Unione europea sta attraversando gravi difficoltà economiche e un considerevole livello di protesta sociale. Il Comitato norvegese per il Nobel desidera concentrarsi su quello che considera il risultato più importante raggiunto dall’Unione europea: la lotta di successo per la pace e la riconciliazione e per la democrazia e i diritti umani. Il ruolo stabilizzante giocato dall’Unione europea ha aiutato a trasformarsi gran parte dell’Europa da continente di guerra a continente di pace”.
 
Dal testo del comunicato stampa che assegna il Nobel per la Pace all’Unione europea
 
Mi scrive mia moglie via sms la notizia del Nobel, aggiungendo, “dovresti essere contento”. Lo sono. Certo che lo sono. E’ importante soprattutto per i giovani, perché capiscano, in questa cacofonia di dichiarazioni e proposizioni, che vi è nella costruzione delle cose, delle istituzioni, delle politiche, un faro che ci deve sempre guidare, ben radicato nei valori e negli ideali, quelli che caratterizzarono l’avvio dell’Unione.
 
Abbiamo perso ormai, nel gioco della semantica contabilistica, la bellezza del discorrere dei primi anni dell’Europa oggi premiata, quando Jean Monnet parlava di libertà e diversità. Quindi è bene e bello cercare di aiutare l’Unione ad essere unita, e un bravo va al Comitato Nobel per questa decisione.
 
E’ tuttavia, questa decisione, anche segno di una evidente debolezza, di una paura: assegnarle un Premio in questo momento all’Europa, è certificare la sua fragilità.
Ed è rilevante quel passaggio del testo sopra dove pare chiaro come si celebra:
– l’Unione europea, e non l’area dell’euro;
 
– il fallimento delle politiche economiche, che il Comitato esplicitamente non premia e che anzi vede come il fattore di maggiore rischio odierno.
 
Perché non sono state funzionali all’obiettivo di pace. Perché non sono radicate nei valori fondanti dell’Unione che non erano certo quelli della stabilità o della lotta all’inflazione, che sono meri strumenti, utili a volte, né necessari né sufficienti altre volte, per garantire pace e coesione.
 
Statene certi, il Premio Nobel per l’economia quest’anno non andrà all’euro. Ma non per sue colpe. L’euro, anzi, mi ricorda correttamente oggi un collega giurista, Mario Patrono, nacque nello spirito giusto di pace europea: in cambio di una Germania più grande e finanziata dal resto d’Europa, si chiese a questa di rinunciare alla sua sovranità monetaria, creando l’euro, per evitare che il nostro Continente tornasse a vedersi dominato da logiche imperiali.
 
Fu un accordo importante ed intelligente. E lungimirante. Lungimiranza che si è spenta nelle mani dei contabili che non hanno saputo raccogliere il testimone da una generazione di politici, nata nell’Europa occidentale sventrata dalle bombe e dal genocidio, che seppe guardare al di là di ridicoli pallottolieri.
 
L’anno prossimo speriamo di poter premiare l’Unione europea con il Premio Nobel per l’Economia che certo quest’anno non si merita. Se dovessimo aspettare anche un solo anno in più potrebbe essere la fine del progetto dell’euro e, con esso, dei valori e del progetto di pace chiamato Unione europea.

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